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Giotto da Bondone (Colle di Vespignano, 1267 – Firenze, 8 gennaio 1337) è stato un pittore e architetto italiano.
Secondo la maggioranza degli esperti, Giotto nacque nel 1267, a Vicchio. Una minoranza della critica tende a porre la sua data di nascita nel 1276, secondo la cronologia che nella seconda metà del XVI secolo offrì Vasari nella biografia dedicata all'artista. La data fornita da Vasari sarebbe inattendibile qualora si tenga per assodato che Giotto doveva essere almeno ventenne attorno al 1290, quando dipinse le sue prime opere.
Nacque a Colle di Vespignano, in quello che attualmente è il comune di Vicchio nel Mugello, da una famiglia di piccoli possidenti terrieri, famiglia che, come molte altre, si trasferì in seguito a Firenze. Secondo la tradizione letteraria, finora non confermata dai documenti, Giotto era stato affidato dai genitori alla bottega di Cimabue.
I primi anni del pittore sono stati oggetto di credenze quasi leggendarie fin da quando egli era in vita. Giorgio Vasari racconta come Giotto fosse capace di disegnare una perfetta circonferenza senza bisogno del compasso, la famosa "O" di Giotto.
Si narra inoltre che Cimabue avesse scoperto la bravura di Giotto mentre disegnava delle pecore con del carbone su un sasso. Altrettanto leggendario è l'episodio di uno scherzo fatto da Giotto a Cimabue dipingendo su una tavola una mosca: essa sarebbe stata così realistica che Cimabue tornando a lavorare sulla tavola avrebbe cercato di scacciarla. Le novelle raccontano verosimilmente soprattutto la grande capacità tecnica e la naturalezza dell'arte di Giotto.
Giotto si sposò verso il 1287 con Ciuta (Ricevuta) di Lapo del Pela. La coppia ebbe quattro figlie e quattro figli, dei quali uno, Francesco, divenne a sua volta pittore. Giotto s'adoperò perché un altro dei suoi figli, di nome anch'egli Francesco, divenisse priore della chiesa di San Martino a Vespignano, oltre che suo procuratore in Mugello, dove allargò le proprietà terriere della famiglia. Dette poi in sposa ben tre delle sue figlie con uomini nei dintorni del colle mugellano, segno inequivocabile di una sua fortissima "mugellanità" e dei profondi legami mantenuti dal pittore per tutta la vita col suo territorio d'origine. Recenti studi indicano come una dalle sue prime opere il frammento della Madonna conservato proprio in Mugello nella Pieve di Borgo San Lorenzo, databile intorno al 1290. La prima volta che Giotto venne ufficialmente nominato è in un documento recante la data 1309, nel quale si registra che Palmerino di Guido restituisce ad Assisi un prestito a nome suo e del pittore.
Giotto aveva aperto una bottega dove era circondato da alunni; si occupava soprattutto di progettare le opere e di impostare le composizioni più importanti mentre agli alunni lasciava quelle secondarie.

La Madonna di San Giorgio alla Costa
Secondo altri studiosi la prima tavola dipinta indipendentemente da Giotto in ordine cronologico è la Madonna col Bambino di San Giorgio alla Costa (Firenze, oggi al Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte), che potrebbe essere anteriore agli affreschi di Assisi. Per altri, invece, si tratterebbe di un'opera successiva al cantiere di Assisi ed anche al Crocifisso di Santa Maria Novella.
Tornando alla Madonna di San Giorgio, l'opera mostra una solida resa della volumetria dei personaggi le cui attitudini sono più naturali che in passato. Il trono è inserito in una prospettiva centrale, formando quasi una "nicchia" architettonica, che suggerisce il senso della profondità.
La novità del linguaggio di questa tavola, relativamente piccola e decurtata lungo tutti i margini, si comprende meglio facendo un raffronto con gli esempi fiorentini di Maestà che lo avevano immediatamente preceduto, come quelli di Coppo di Marcovaldo e di Cimabue.

È ancora molto dibattuto se Giotto sia intervenuto o meno per la decorazione a fresco della Basilica Superiore. Molti studiosi ritengono certo l'intervento di Giotto dalle Storie di Isacco fino a quasi tutto il ciclo della Vita di san Francesco.
Diverso avviso sono altri studiosi che ritengono molto più probabile l'intervento di un pittore di scuola romana, come ad esempio Pietro Cavallini.
Secondo la prima corrente di pensiero, Giotto avrebbe coordinato, in un arco di tempo di circa due anni compreso tra il 1290 e 1292 circa, un complesso stuolo di artisti che avrebbero dato impronte diverse al ciclo pur sotto una visione unitaria.
Secondo la seconda ipotesi, invece, l'entrata in scena di Giotto sarebbe da rinviare al 1297 circa, quando vennero realizzati parte degli affreschi della Cappella di San Nicola nella Basilica inferiore, con l'Annunciazione sulla parete d'ingresso e le due scene dei Miracoli post mortem di San Francesco e della Morte e Resurrezione del Fanciullo di Suessa, che mostrerebbero evidenti affinità tecniche ed esecutive con la Cappella degli Scrovegni e si differenzierebbero dal ciclo francescano.

Le Storie di Isacco
I primi affreschi nella Chiesa Superiore vennero realizzati nel transetto da pittori oltremontani e poi dalla bottega di Cimabue, dove probabilmente doveva trovarsi anche il giovane Giotto (1288-1292 circa). L'intervento diretto di Giotto è stato insistentemente ravvisato da molti studiosi in due scene nella parte alta della navata destra con le Storie di Isacco (Benedizione di Isacco a Giacobbe e Esaù respinto da Isacco che si trovano nella terza campata all'altezza della finestra). Il pittore di queste due scene aveva una particolare predisposizione alla resa volumetrica dei corpi, tramite un accentuato chiaroscuro, ed era capace di ambientare le proprie scene in un ambiente architettonico fittizio, disegnato secondo una prospettiva ed uno scorcio laterale. Diversa è anche la tecnica usata: per la prima volta si usò l'affresco a giornate, anziché a pontate.

Le Storie di san Francesco
Secondo la teoria della paternità di Giotto di questi affreschi, Giotto avrebbe affrescato la fascia inferiore della navata con le ventotto Storie di san Francesco segnando una svolta nella pittura occidentale. Il ciclo francescano illustra puntualmente il testo della Legenda compilata da san Bonaventura e da lui dichiarata unico testo ufficiale di riferimento per la biografia francescana. Sotto ad ogni scena compare una didascalia descrittiva tratta dai diversi capitoli della Legenda via via illustrati.

La Croce di Santa Maria Novella
Il primo capolavoro fiorentino è il grande Crocifisso di Santa Maria Novella, citato come opera giottesca in un documento del 1312.
È il primo soggetto che Giotto affronta in maniera rivoluzionaria, Giotto dipinse il corpo morto in maniera verticale, con le gambe piegate che ne fanno intuire tutto il peso. La forma non più nobilitata dai consueti stilemi divenne così assolutamente umana e popolare.
In queste novità è contenuto tutto il senso della sua arte e della nuova sensibilità religiosa che restituisce al Cristo la sua dimensione terrena e da questa trae il senso spirituale più profondo. Solo l'aureola ricorda la sua natura divina.
Di precoce datazione è considerata anche la tavola firmata proveniente da Pisa e conservata al Louvre di Parigi, raffigurante le Stigmate di san Francesco.

Primo viaggio a Roma
Fino al 1300 c'è un vuoto di alcuni anni nella produzione di Giotto, quindi può essere che Giotto abbia lavorato a Roma fino al 1300 circa, anno del Giubileo, esperienza della quale non rimangono tracce significative e per questo non è possibile ancora giudicare la sua influenza sui pittori romani o, al contrario, quanto il suo stile venne influenzato dalla scuola romana.

Rientro a Firenze
Da documenti catastali del 1301 e 1304 si conoscono le sue proprietà in Firenze, che erano cospicue e per questo si ipotizza che, all'incirca verso i trent'anni, Giotto fosse già a capo di una bottega capace di ovviare alle più prestigiose commissioni del tempo.
In questo periodo dipinse il Polittico di Badia (Galleria degli Uffizi) e, in virtù della fama diffusa in tutta l'Italia, venne chiamato a lavorare a Rimini e Padova.
Il soggiorno di Rimini è importante soprattutto per l'influenza esercitata sulla locale scuola pittorica e minatoria detta appunto scuola riminese, che ebbe tra i maggiori esponenti Giovanni, Giuliano e Pietro da Rimini.
Anche i pittori dell'Italia del nord subirono l'influenza di Giotto: Guariento di Arpo, Giusto de' Menabuoi, Jacopo Avanzi e Altichiero fusero infatti il suo linguaggio plastico e naturalistico con le tradizioni locali.

Cappella degli Scrovegni
Resta invece intatto il ciclo di affreschi con Storie di Anna e Gioacchino, di Maria, di Gesù, Allegorie dei Vizi e delle Virtù e Il Giudizio Universale della Cappella di Enrico Scrovegni, dipinta tra il 1303 e il 1305. L'intero ciclo è considerato un capolavoro assoluto della storia della pittura e, soprattutto, il metro di paragone per tutte le opere di dubbia attribuzione giottesca, visto che sull'autografia del maestro fiorentino in questo ciclo non ci sono dubbi.
Giotto dipinse l'intera superficie con un progetto iconografico e decorativo unitario, ispirato da un teologo agostiniano. Giotto dipinse, dividendolo in 40 scene, un ciclo incentrato sul tema della Salvezza.
Si parte dalla lunetta in alto sull'arco trionfale, dove Dio avvia la riconciliazione con l'uomo, si prosegue sul registro più alto della parete sud con le storie di Gioacchino ed Anna. Si continua sulla parete opposta con le storie di Maria. Si torna sull'arco trionfale con la scena dell'Annunciazione e il riquadro della Visitazione. A questo punto sul secondo registro della parete sud iniziano le storie della vicenda terrena di Gesù, che si svolgono lungo i due registri centrali delle pareti, con un passaggio sull'arco trionfale nel riquadro del Tradimento di Giuda. L'ultimo riquadro presenta la Discesa dello Spirito Santo sugli apostoli (Pentecoste).
Subito sotto inizia il percorso del quarto registro, costituito da quattordici allegorie monocrome, alternate a specchi in finto marmo, che simboleggiano i Vizi e le Virtù,  che si fronteggiano a coppia e sono ordinati per il raggiungimento del Paradiso, superando con la cura delle virtù corrispondenti gli ostacoli posti dai vizi.
L'ultima scena, che occupa l'intera controfacciata rappresenta il Giudizio universale e la visione del Paradiso. Qui si inquadra la grande novità scoperta da Giuliano Pisani: le figure sotto il trono di Cristo Giudice non rappresentano i simboli dei quattro evangelisti, ma sono rispettivamente, partendo da sinistra, un'orsa con un luccio, un centauro, un'aquila/fenice e un leone, immagini interpretate come riferimento simbolico all'essenza di Cristo. «Orsa e pesce, centauro, aquila e leone sono simboli cristologici che la cultura medievale, specie dopo il Mille, in epoca romanica, riprende dalla più antica tradizione cristiana: rappresentano allegoricamente il battesimo, il dono dell'immortalità, la vittoria sulla morte, la giustizia».

Stile degli affreschi
Nella cappella la pittura di Giotto dimostrò una piena maturità espressiva. La composizione rispettava il principio del rapporto organico tra architettura e pittura ottenendo il risultato di un complesso unitario. I riquadri sono tutti d'identica dimensione. I partimenti decorativi, le architetture simulate ed i due finti coretti prospettici che simulano un'apertura sulla parete, sono tutti elementi che obbediscono ad una visione unitaria, non solo prospettica ma anche cromatica; domina infatti il blu intensissimo della volta che si ripete in ogni scena.
Gli ambienti naturali e le architetture sono costruite come vere e proprie scatole prospettiche in prospettiva intuitiva, che a volte vengono ripetute per non contraddire il rispetto dell'unità di luogo, come la casa di Anna o il Tempio, la cui architettura è ripetuta identica anche se ripresa da diverse angolature.
Le figure sono solide e voluminose e rese ancora più salde dalle variazioni cromatiche.
Le scene sono dotate di una vivace narrazione. Sono solenni senza fronzoli della composizione, ma non sfuggono particolari che rendono i personaggi realistici. Le emozioni e gli stati dell'anima sono evidenti, eloquenza di gesti e espressioni. È una pittura capace di rendere l'umanità dei personaggi sacri.
Alcuni accorgimenti tecnici arricchiscono di effetti materici tutto l'ambiente: stucco lucido o stucco romano per i finti marmi, parti metalliche nell'aureola del Cristo Giudice nel Giudizio, tavole lignee inserite nel muro, uso dell'encausto nelle figure a finto rilievo.
Ci sono numerose citazioni dall'arte classica e dalla scultura gotica francese, incentivata dal confronto con le statue sull'altare di Giovanni Pisano, ma, soprattutto, una maggiore espressività negli sguardi intensi dei personaggi e nella loro gestualità.
Molte sono le notazioni narrative ed i particolari, anche minori, di grande suggestione, gli oggetti, gli arredi le vesti che rispecchiano l'uso, la moda del tempo. Alcuni personaggi sono veri e propri ritratti a volte caricaturali che danno il senso della trasposizione cronachistica della vita reale nella rappresentazione sacra. Si può quindi dire che Giotto ha attuato una riscoperta del vero (il vero dei sentimenti, delle passioni, della fisionomia umana, della luce e dei colori) nella certezza di uno spazio misurabile.

Basilica inferiore di Assisi
Sposalizio di San Francesco con la Povertà, 1316-1318, volta nella Basilica inferiore di Assisi, attribuito al "Parente di Giotto", su disegno del maestro
Tra il 1306 ed il 1311 fu di nuovo ad Assisi per eseguire gli affreschi della zona del transetto della Basilica inferiore che comprendono: le Storie dell'infanzia di Cristo, le Allegorie francescane sulle vele, e la Cappella della Maddalena. In realtà la mano del maestro è quasi assente e per le numerose commissioni lasciò la stesura a personalità della sua cerchia.

Di nuovo a Firenze
La presenza a Firenze è sicuramente documentata negli anni 1314, 1318, 1320, 1325, 1326 e 1327. Nel 1327, in particolare, si iscrisse all'Arte dei Medici e Speziali che, per la prima volta, accoglieva i pittori.

Secondo viaggio a Roma
Nel 1313, in una lettera, incaricò Benedetto di Pace di recuperare le masserizie presso la proprietaria della casa affittata a Roma; il documento è la testimonianza del terzo soggiorno romano, avvenuto entro l'anno in cui eseguì il Mosaico della Navicella degli Apostoli.
Roma fu una parentesi in un periodo nel quale Giotto risiedette soprattutto a Firenze. In questo periodo dipinse le opere della sua maturità artistica come la Maestà di Ognissanti, la Dormitio Virginis della Gemäldegalerie di Berlino, il Crocifisso di Ognissanti.

Gli affreschi di Santa Croce
Nel 1318, cominciò a dipingere quattro cappelle per quattro diverse famiglie fiorentine nella chiesa dei francescani di Santa Croce: la Cappella Bardi (Vita di San Francesco), la Cappella Peruzzi (Vita di San Giovanni Battista e di San Giovanni Evangelista più il polittico con Taddeo Gaddi), e le perdute Cappelle Giugni (Storie degli Apostoli) e Tosinghi Spinelli (Storie della Vergine) di cui rimane l'Assunta del Maestro di Figline.

Napoli
Nel 1328, dopo aver terminato il Polittico Baroncelli, venne chiamato dal re Roberto d'Angiò a Napoli e vi rimase fino al 1333, insieme alla nutrita bottega. Il Re lo nominò "famigliare" e "primo pittore di corte e nostro fedele", a testimoniare l'enorme considerazione che Giotto aveva ormai raggiunto gli assegnò anche uno stipendio annuo.
Purtropo a Napoli rimane oggi molto poco dei suoi lavori: un frammento di affresco raffigurante la Lamentazione sul Cristo Morto in Santa Chiara e le figure di Uomini Illustri dipinte negli strombi delle finestre della Cappella di Santa Barbara in Castelnuovo, che per disomogeneità stilistiche sono attribuibili ai suoi allievi.
La sua presenza a Napoli fu importante per la formazione dei pittori locali, come il Maestro di Giovanni Barrile, Roberto d'Oderisio e Pietro Orimina.

Bologna
Dopo il 1333 si recò a Bologna, dove rimane il Polittico firmato proveniente dalla chiesa di Santa Maria degli Angeli. Non resta traccia, invece, della presunta decorazione della Rocca di Galliera del legato pontificio Bertrando del Poggetto, ripetutamente distrutta dai bolognesi.

Trascorse gli ultimi anni lavorando anche come architetto, quasi sempre a Firenze dove è nominato il 12 aprile 1334 Capomaestro dell'Opera di Santa Reparata (cioè dei cantieri aperti in piazza del Duomo) e soprintendente delle opere pubbliche del Comune. Per questo incarico percepiva uno stipendio annuo di cento fiorini. Secondo Giovanni Villani cominciò il 18 luglio dello stesso anno il lavoro di fondazione del Campanile del Duomo che diresse fino alla costruzione dell'ordine inferiore con i bassorilievi.

Milano
Prima del 1337, data della morte, andò a Milano, Rimase solo traccia della sua presenza soprattutto nell'influenza esercitata sui pittori lombardi del Trecento.

La morte a Firenze
L'ultima opera fiorentina terminata dagli aiuti è la Cappella del Podestà nel palazzo del Bargello, dove è presente un ciclo di affreschi, oggi in cattivo stato di conservazione (anche per errati restauri ottocenteschi), che raffigura Storie della Maddalena ed Il Giudizio Universale.
Morì l'8 gennaio 1337 (il Villani riporta la data della morte avvenuta alla fine del 1336 secondo il calendario fiorentino) e venne sepolto in Santa Reparata con una cerimonia solenne a spese del Comune.
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